Chi ama la libertà

«Il Socialista», a. II, n. 33, 8 dicembre 1945, p. 1.

CHI AMA LA LIBERTÀ

Mai come in questa crisi di governo provocata dai liberali si è visto scoperto cosí chiaramente il vero volto delle forze che urgono nel nostro paese verso un nuovo soffocamento delle libertà e verso il mantenimento rafforzato di un ordine sociale disumano e crudele. Mentre nell’altro dopoguerra la manovra del capitalismo era velata agli occhi piú ignari da una cortina di immagini letterarie, di simboli sentimentali, di vaghe idealità alimentate da un classicismo scolastico (l’attivismo futurista, la bella avventura dannunziana, il nazionalismo, una bolsa interpretazione del Risorgimento), in questo tragico episodio di una dittatura che, nel crollare, ha travolto una grande parte della nostra povera casa, una forza brutalmente economica, avida di possesso e di lucro, torna a faccia scoperta ad ostacolare una democrazia che per la sua stessa natura segnerebbe la fine dello sfruttamento ladronesco di piccoli vandali. E, rinfrancata dal facile salvataggio dei maggiori responsabili della nostra rovina, la classe capitalistica italiana è passata, dopo abili dislocazioni di forze, ad un’offensiva i cui obiettivi sono ben piú ambiziosi della crisi attuale di governo.

Quando nel giugno scorso dopo l’insurrezione popolare del Nord si era formato il governo del partigiano Parri, la reazione italiana, che già l’anno scorso aveva provocato con Bonomi e i suoi pretesti costituzionali una prima crisi, vedeva annullati quei suoi parziali vantaggi ed incassava abbastanza elegantemente un inevitabile colpo. Aveva osservato le prime mosse del governo a cui pure partecipavano suoi rappresentanti, aveva brontolato un po’ sommessamente lasciando prosperare lateralmente un movimento raccogliticcio di piccoli borghesi scontenti, di epurati ed epurandi desiderosi di rifarsi, di repubblichini mancati, mostrandosi a poco a poco sempre piú urtata dai provvedimenti che, malgrado i suoi cauti ostacoli, minacciavano un’azione democratica sul serio. Si poteva costruire un ministero della Costituente, era bello far vedere la facciata di generici decreti di epurazione che colpissero gli uscieri e gli impiegatucci costretti ad iscriversi dal direttore e dall’industriale intangibile, di proposte di confische dirette solo ai beni di qualche gerarchetto fatto fuori dall’insurrezione del nord, ma era intollerabile che Nenni, Parri, Togliatti mettessero in essere provvedimenti concreti, proponessero leggi che colpivano i mandanti delle squadre nere, gli industriali, gli agrari arricchiti sulla fame e la morte altrui. E c’era il pericolo che venisse adottato un sistema di tasse che osasse ricadere piú sui capitalisti che non sugli impiegati, gli operai, i piccoli proprietari.

Allora i liberali non si mostrarono insensibili al “grido di dolore” che si levava dalle colonne dell’«Uomo Qualunque», si agitarono prima in nome del paese legale, poi di quello reale, trovarono arbitrario un decreto non passato alla Consulta alla quale poi non vollero presentarsi per discutere il loro ansioso ed urgente bisogno, di Orlando, Nitti, Bonomi e di altre giovanili forze costruttive. E finalmente aprirono coraggiosamente una crisi che ha provocato l’indignazione del popolo e il giubilo di tutti coloro che temono la democrazia.

Non è certo per l’amore della libertà che si ostacola la vita del paese, si espone una nazione debole e sanguinante al pericolo di urti terribili, quando anche i conservatori dei paesi occidentali hanno dato a questa manovra il suo giusto nome e si sono meravigliati del provincialismo di alcuni italiani che sentono piú il rumore del dollaro battuto dal banchiere Giannini che non la voce dei lavoratori di tutto il mondo uniti contro ogni nuova avventura fascista.

È l’interpretazione socialista della storia che trova cosí in questa crisi una vistosa conferma: il capitalismo con i suoi naturali alleati (i residui piú sporchi dell’assolutismo e del feudalesimo) è inevitabilmente portato ad ostacolare con ogni mezzo il raggiungimento della vera libertà che presuppone l’abolizione del privilegio e dello sfruttamento, ed a proteggere con intrighi e con violenza armata il suo stato di violenza legale, di offesa costante alla dignità degli uomini.

Da una parte sono i liberali pugliesi che difendono la loro libertà di far vivere migliaia di esseri umani come bruti nelle città-stalle, sono i borsari neri che difendono la loro libertà di affamare il popolo, sono gli arricchiti del fascismo che difendono la loro libertà di mantenere il maltolto. Di fronte è il popolo che sente sempre meglio la sua unità e i suoi diritti, di fronte sono i partiti di sinistra che lottano perché gli uomini vivano da uomini, perché la cultura sia aperta a tutti, perché non vi sia piú la pena di chi trema per il suo pane incerto, per la sua vita minacciata.

E non pare difficile allora riconoscere chi ama davvero la libertà.